L’arte di narrare con le immagini

Brenno Benatti è una persona davvero sorprendente. Ti fermi a parlare con lui così volentieri che ti sembra di essere lì da 10 minuti mentre invece sono passate ore! Il tempo passa senza che tu te ne renda conto. E quella mattina, quando abbiamo realizzato che il tempo era trascorso così velocemente e che era giusto togliere il disturbo, sia io che Paolo lo abbiamo fatto a malincuore. Saremmo rimasti ancora a lungo ad ascoltarlo parlare della sua vita e della pittura naïf.

 

 

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Intervista a Brenno Benatti

 

Brenno Benatti nasce negli anni che seguono la fine del secondo conflitto mondiale e i suoi dipinti narrano quei tempi tanto difficili quanto nostalgici in cui la nostra gente si è dovuta rimboccare le maniche per superare le mille difficoltà che ogni giorno si presentavano. Siamo in un’Italia che ancora lotta, lotta con tutte le sue forze per stare a galla. E tutto ciò traspare dai suoi dipinti dai tramonti sempre accesi e dai colori vivaci.

 

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“Uva e vino” 80 x 60 olio su tela anno 1998

 

La descrizione con dovizia di particolari di quegli antichi mestieri ormai quasi del tutto scomparsi, il pane prodotto in casa, il bucato lavato a mano, il vino pigiato con i piedi, il lavoro dei campi fatto con la forza delle braccia o l’aiuto delle bestie ma con scarsi macchinari. Inoltre gli animali da cortile, i cibi della sua terra e l’antica diatriba tra ipotetici Peppone e Don Camillo che sembra uscita da un romanzo di Giovannino Guareschi. Dai suoi quadri intuisci che, di quei tempi così poco prosperi, conserva un ottimo ricordo.

 

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“I cacciatori” 20 x 30 olio su tela anno 2016

 

Brenno Benatti parla con le immagini. Se lo guardi dipingere, sembra che la tela contenga già le sue opere. A lui resta solo il compito di scoprirle.

Oggi Benatti può vantarsi di avere un suo dipinto facente parte della quadreria del Castello di San Leo e uno che appartiene alla collezione dei Musei Vaticani.  Un bell’orgoglio direi!

 

Chi è Brenno Benatti?

 

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Ma chi è Brenno Benatti? Come ebbe inizio la sua carriera? Mi incuriosisce molto conoscere i particolari della sua vita e così inizio a fargli domande.

 

“Benatti, come ha avuto inizio questa sua arte, questa sua passione divenuta poi un lavoro?”.

Quando andavo a scuola la maestra ci leggeva ogni giorno un racconto tratto dal libro Cuore. Io, il giorno seguente, consegnavo la storia che avevo sentito narrare dalla maestra illustrata attraverso un disegno. La scena era sempre rappresentata con un albero centrale attorno al quale si svolgeva la vita. A quel tempo disegnavo con la matita, possedevo sei matite Giotto, e sognavo un astuccio pieno di pastelli colorati. Amavo disegnare. A casa dipingevo sui muri con del carbone, con un pezzo di pietra o con del gesso da muratore. Dove non riuscivo ad arrivare prendevo la scala e continuavo a disegnare.

 

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“Mi ricordo da bambino” 70 x 50 olio su tela anno 2015 (sulla sinistra Benatti che dipinge sul muro)

 

“Ma la maestra riconosceva le sue doti? A quel tempo le veniva accreditato il suo talento e la sua creatività?”.

A quell’epoca le capacità artistiche non erano prese molto in considerazione, a quei tempi eri figlio della terra e se volevi campare era a quella che ti dovevi affidare. Probabilmente anche i miei genitori immaginavano questo futuro per me a maggior ragione lì  a due passi da dove, solo pochi anni addietro, un altro artista naïf , Antonio Ligabue, era vissuto di stenti scambiando i suoi quadri per un pasto.

Eppure i miei compagni, quando ancora mi incontrano, mi dicono che già ai tempi della scuola si notava che sarei diventato un artista. Già allora avevano notato che nutrivo uno spiccato gusto estetico verso gli oggetti artistici quali quadri, antiquariato o altro.

Quel che ammiro in Benatti è la sua determinazione. Lui non si arreso, lui non si è fermato alle apparenze, lui non si è arrestato davanti ai pregiudizi. Benatti ha creduto in se stesso, nelle sue capacità, in ciò che aveva da dire tramite i suoi dipinti. Dipingeva di notte, dipingeva nei momenti liberi, dipingeva ogni volta che ne aveva occasione. Inizialmente i suoi quadri vengono scambiati con merci, una pratica che a Benatti piaceva molto.

 

“Quando arrivano i suoi primi successi?”

La svolta arriva quando avevo all’incirca 18 anni. Dopo aver compiuto alcuni lavori agricoli riuscii finalmente a comprarmi i tanto agognati colori e, con tre quadri, partecipai a “Italia Artistica” a Brescia dove mi piazzai 5° su 500 concorrenti. I quadri andarono a premio acquisto. Così, vendendo il quadro, incassavo la somma per comperare due cornici e il mio lavoro poteva andare avanti.

Le fatiche stavano per essere ripagate a suon di soddisfazioni. Da lì il successo fu tutto in divenire. Da quel momento partirono le sue trasferte per Milano città da cui arrivavano continue offerte di lavoro.

 

“Cosa ha rappresentato Milano per lei in quel periodo?”

Milano a quei tempi sembrava così lontana da Guastalla. Ma Milano era la città del futuro, la città delle occasioni, un vero salotto di vendita per i miei dipinti. Partivo al mattino carico di quadri e di speranze ma la sera, finito il lavoro, tornavo nella mia Guastalla. Se era pur vero che a Milano si guadagnava, a Guastalla si respirava e quell’aria aveva il profumo di casa.

Milano resta la città che mi ha dato tante soddisfazioni. Dopo aver rappresentato l’Italia per cinque anni consecutivi al Museo della Scienza e della Tecnologia esponendo nella Sala delle Nazioni, nel 1974 mi venne conferito l’Ambrogino d’Argento, un’onorificenza che veniva consegnata a personaggi illustri che avevano dato lustro a Milano. Quello stesso anno, insieme a me che fui premiato per la pittura, venne premiato anche Ray Charles per la musica.

 

“In seguito quali altre occasioni le si presentarono?”

Le occasioni di lì in poi  si susseguirono. Ho lavorato per la Mondadori dove litografie delle mie opere firmate manualmente ad una ad una, venivano vendute allegate ai giornali.  Poi è stata la volta della collaborazione insieme ad altri pittori all’illustrazione de ”I Vangeli Illustrati dai Naïf”, quindi mi venne affidato l’incarico di illustrare copertine di dischi per orchestre romagnole, di eseguire murales e così via.

 

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Copertina del disco “Sorriso d’estate” La vera Romagna

 

Nel 1976 a Modena vinsi il premio “Pico d’oro della Mirandola” e due anni dopo, nella stessa occasione, vinsi il “Pennello d’oro”.

A Roma ho lavorato fianco a fianco con Guttuso, ho esposto in Italia e all’estero e la stampa e la TV di stato hanno incominciato a interessarsi a me. Il Presidente della Repubblica Sandro Pertini mi ha inoltre conferito la medaglia d’oro.

Benatti è l’unico pittore naïf in Italia ad avere avuto tale riconoscimento da un Presidente della Repubblica nell’anno 1985.

 

“Come viveva tutto questo successo lei che era così giovane?”

Agli esordi evitavo di farmi fotografare. Durante la celebrazione per la consegna dei premi, quando venivano mostrati i quadri vincitori, anziché salire sul palco per ritirare la vincita me ne andavo al bar. Temevo che la mia giovane età potesse sminuire quella che era la mia figura.

 

“Benatti, ha un quadro tra tutti quelli da lei dipinti a cui è particolarmente legato?”

(Sorride) Per un genitore i figli sono tutti uguali.

 

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Tempus Fugit 80 x 60 olio su tela anno 2000

 

“Come sono cambiati i suoi dipinti nel corso degli anni?”

Il tema resta sempre quello del lavoro nei campi, della vita contadina. Ma da cinquant’anni lavoro su me stesso per perfezionare la tecnica. Nelle mie prime opere si riconoscono un’ingenuità, una sincerità e una purezza uniche. Nella mia pittura più matura, l’evoluzione è data dall’esperienza e la bellezza è voluta con malizia di tecnica.

 

“Ha mai avuto un modello da seguire, da cui trarre ispirazione?”

Inizialmente seguivo solo il mio istinto mentre in seguito ho scoperto Bruegel, pittore fiammingo, un artista che ammiro molto.

Se per l’Europa il paese più rappresentativo per la pittura naïf è l’Italia, per l’Italia la regione simbolo di questa corrente è l’Emilia Romagna e i pittori naïf sia del passato che contemporanei che la rappresentano li troviamo per la maggior parte nella zona della bassa reggiana che si estende lungo il Po. Più volte all’anno si riuniscono tutti insieme per pianificare mostre ed esposizioni in quella che Benatti scherzosamente chiama “la riunione della Carboneria”.

 

“Che rapporti ha con i suoi colleghi?”

Ho buoni rapporti con tutti. Siamo belve di razze diverse racchiuse nella stessa gabbia (Mi dice ridendo).

 

“Cosa ha dipinto ultimamente che l’ha particolarmente coinvolto?”

Nel 2016, Tiziano Soresina (giornalista della Gazzetta di Reggio) e Stefano Storchi (presidente della sezione ANPI Guastalla), hanno presentato il libro da loro scritto “Arte e Memoria. Pittori e scultori raccontano la resistenza”. Mi hanno chiesto di partecipare con una mia opera. A loro mancava un dipinto che rappresentasse quella che a quel tempo era la casa di latitanza. Ricordandomi di certi miei parenti che avevano accolto presso la loro abitazione alcuni partigiani durante la Resistenza, ha avuto l’ispirazione per raffigurare appunto “La Casa di Latitanza”.

 

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“La casa di latitanza” 70 x 50 olio su tela 2016

 

Durante le celebrazioni del 72° anniversario della Liberazione, Benatti ha donato il suo dipinto “All’alba” (50×40, olio su tela, 2016) al Museo Cervi di Gattatico. Il dipinto è stato consegnato durante la celebrazione direttamente dalle mani del sindaco di Guastalla Camilla Verona.

 

“Brenno si è mai cimentato in altri generi?”

Ci ho pensato ma significherebbe iniziare tutto da capo. E io che non sono ancora riuscito a dire tutto ciò che avrei da dire. Ho tele bianche che mi aspettano dove so già cosa dovrò rappresentarci su. 

 

“Ma questo richiamo all’arte bizantina da cosa è nato?”

Sono molto legato a Ravenna. Un giorno vidi un mosaico al mercato vecchio di Ravenna che mi affascinò molto.

 

“Le sue figlie hanno intrapreso la sua stessa carriera artistica?”

No, una delle mie figlie è commercialista, l’altra è ingegnere civile.

 

“Brenno, ma cosa ci vuole per dipingere”

Per dipingere ci vogliono testa, cuore e mani. La testa per pensare a quello che devi riportare sulla tela, il cuore per sentire ciò che hai da trasmettere e le mani per eseguirlo.

 

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Benatti è rimasto quel ragazzo di Guastalla che, nonostante dalla vita abbia avuto tante soddisfazioni, ha mantenuto un legame con la sua terra e non si è spogliato dell’umiltà che lo ha sempre contraddistinto. È lo stesso giovane che dipingeva sui muri con l’unica differenza che ora, i sogni che aveva nel cassetto, può vantarsi di averli tirati fuori da lì.

Qualcuno di voi conosce Brenno Benatti o le sue opere?